Elio intervista Francesca Giuliano

1. Come vedi il corpo? Nel senso che io non lo intendo solo come un pezzo di carne. Credo sia molto di più, credo ci sia un concetto che racchiude una grande carica emotiva, un concetto di profonda intensità.

Ho avuto fasi diverse nella mia vita in cui ho attribuito significati diversi al corpo. Oggi, dopo aver superato alcune insicurezze che prima mi sembravano insormontabili, vedo il mio corpo come un dato di fatto, reale ed in continuo mutamento, un luogo sicuro all’interno del quale vivrò tutta la mia vita, e soprattutto tramite il quale sono protagonista della mia esperienza di essere umano. Non sono una persona religiosa ma credo comunque che il corpo sia anche un mezzo di scoperta delle contraddizioni e degli aspetti più mistici della vita. Ed allo stesso tempo, è un luogo di puro piacere, dove trovano spazio tutti i nostri istinti primordiali, e dove si regolano. Penso, alla fine, al corpo anche come ad uno strumento di forza civile: quando uniamo il nostro corpo a quello dell’Altr* (sessualmente, in solidarietà politica e/o sociale, in amicizia, nella danza, ecc.), e lasciamo che il corpo occupi spazio senza troppe giustificazioni, si risveglia una specie di calore naturale che ci può far sentire viv* e parti di qualcosa di non individuale. Ma questa è una sola di dozzine di interpretazioni che potrei dare sul corpo: troppe volte è una storia di violenza o negazione, di vergogna, di mancati diritti. Quel che il corpo significa per ognun* cambia radicalmente. 

1.1 Il corpo, come dice nel tuo articolo, è investito di ruolo importantissimo. Ma quanto spazio viene dato davvero al corpo? Quanto si educa al sentire il proprio corpo, ad accettarlo e starci dentro, senza essere terrorizzati da sé stessi?

Di sicuro, non abbastanza. Nel mio articolo spiego brevemente come da bambina mi riusciva molto semplice sentire il mio corpo, e starci dentro. Crescere per me, come per fiotti di adolescenti nella società contemporanea, ha cambiato tutto, ed ha dato inizio a quella che potrei definire “negligenza corporea”. Il confronto costante a cui sottoponevo il mio corpo con quello delle altre ragazze, e delle attrici nei film, e delle donne sulle prime pagine delle riviste che consumavo al tempo (Vanity Fair, Vogue) ha avuto come effetto quello di distorcere completamente la mia immagine di me. Quello che si definisce body-image issues: sentirsi insoddisfatt* rispetto alla propria immagine, collegare il senso di valore di sé alla forma del proprio corpo, non riuscire ad avere un senso reale del corpo, avere difficoltà a normalizzare la natura mutevole del corpo. E proprio il momento cruciale in cui sviluppavo i miei body-image issues, come capita spesso, coincideva con le mie prime esperienze di intimità sessuale, che ho inevitabilmente cominciato a collegare alla relazione infelice con il mio corpo. In quegli anni, mi è mancato decisamente lo spazio. Per esplorare il corpo sentendomi al sicuro, per conoscerlo ed ascoltarlo, per affrontare le paure che avevo sviluppato. Mi sono serviti anni per re-imparare ad ascoltarmi: ero diventata bravissima a “tenermi la pancia,” a negare ogni mio bisogno fisionomico in determinate situazioni, a dire di sì anche quando il corpo urlava no, a curare il mio “mal di me” comprando il mascara più costoso o il vestito che mi faceva sentire più magra, slanciata, originale ma soprattutto appetibile, accettabile. Ed in risposta a questa mia esperienza vissuta, sono riuscita a trovare dei metodi di sopravvivenza, o meglio di tenacia applicata: rieducare me stessa ad un dialogo interiore più sano, e farmi rieducare da chi mi sta intorno quando non ci riesco da sola. Reimparare ad ascoltare: il bisogno, il desiderio. Distinguerli e capire a quale azione corrisponde ognuno, e come posso rispettare me stessa, e l’Altr*, nel farlo. Detto questo… È ovvio che la strada sia lunga. E forse interminabile. Per me sta tutto nelle nostre pratiche quotidiane. Da lì nasce il seme che ci porta a collettivizzare le nostre scoperte. 

2. Tu sei riuscita, in qualche modo, a liberarti dalla “soffocante opinione degli altri”, come ti sei svincolata? È questo che intendi quando parli di “possedere la propria immagine”?

Non sarebbe del tutto veritiero dire che sono riuscita completamente a liberarmi dell’opinione degli altri: più che altro, sono riuscita a trovare degli strumenti interiori per attraversare i momenti più bui – quelli in cui il timore del giudizio degli altri prende il sopravvento, dove mi sento vittima impotente rispetto a come il mio corpo può essere percepito o giudicato. Ogni volta che mi becco a parlare con astio a me stessa (i.e., nella maggioranza dei casi, alle mie capacità intellettive), cerco di riportarmi su un piano di razionale ascolto: da dove viene questa critica? Perché la sto pensando? In che modo è vera? Anche se dovessi non essere “perfetta” in questo in quell’altro, va benissimo così. Ho diritto a tempo per migliorare. Ho diritto al tempo per sbagliare, e riprovarci di nuovo. Sono una strafiga per adesso, così come sono! – ecco, un assaggio della mia tecnica. 

Quando parlo di “possedere la propria immagine,” mi riferisco ad un concetto femminista in cui il perneo della ricerca del sé risiede nella negazione di tutto quello che è giudicato normale: che l’immagine delle donne sia dominio comune. Nell’articolo che ho scritto è forse questo il concetto principale che ho espresso: grazie allo spazio che abbiamo guadagnato tramite i social media, possiamo essere padrone della nostra immagine. In breve, possiamo dirigerla: possiamo riprenderne atto, essere protagoniste. Avere tutto il potere decisionale del modo in cui presentiamo il nostro corpo, anche se “nel piccolo” di un profilo Instagram, per esempio. Si trova uno spazio che, anche se non necessariamente sdoganato ad un ampio pubblico, è aperto a chiunque e serve da medium per esprimere dei messaggi importanti (anche se solo alle nostre amiche, o ad una ristretta community virtuale): l’espressione della propria sensualità – la libertà di mostrare il proprio corpo come oggetto di desiderio per l’Altr* o come luogo non sessualizzato; la normalizzazione e persino la celebrazione delle imperfezioni; la presa di coscienza del proprio valore umano che prescinde la forma fisica. Questa possessione della propria immagine è tutta contemporanea: a età diverse, da background diversi, possiamo riprenderci questo: il lusso di essere le registe del nostro film, per quello che vale. Perché è chiaro che, se prendere potere sulla nostra immagine è stato una pratica accettata e normale per gli ultimi trent’anni, le cose stanno cambiando. 

3. Quando ci siamo sentite mi hai parlato di BODY NEUTRALITY e credo sia un concetto molto interessante. Ti va di approfondire? 

Il concetto di body positivity è stato centrale nella mia iniziale presa di coscienza: dopo anni passati a maltrattare il mio corpo e a credere di dover soffrire pene terribili prima di poterlo considerare “degno,” scoprire un movimento di donne fiere della loro ciccia è stato un sollievo. Ma era troppo bello per essere vero. Mi spiego meglio: il movimento body positive si basa sul concetto che “all bodies are beautiful” – qualunque donna, oggettivamente bella o brutta, grassa o magra, bianca o nera, o nell’infinito spettro che esiste nel mezzo di questi binari ingiusti, è bella. Ogni corpo è bello, merita amore, considerazione, celebrazione. E per quanto alcuni di questi concetti siano rivoluzionari dato il contesto in cui viviamo immers* (ovvero, una società ossessionata dall’immagine e dalla sua individualità), il focus è quello della bellezza. Leggendo tra le righe del messaggio body positive, mi è venuto da pensare che il senso fosse quello di giustificare un’esistenza sulla base della bellezza. Ogni corpo è bello, quindi merita amore – in altre parole, la bellezza merita amore. 

Ecco, il concetto di body neutrality decostruisce questa ossessione per la bellezza. Perché considerare la bellezza un dato così importante, perché non accettare che alcuni corpi sono belli, altri sono brutti, ma TUTTI INDISTINTAMENTE sono degni di rispetto, amore, compassione, accettazione? Body neutrality è una counter-culture, seppure sorella, di body positivit: la bellezza non è tutto. C’è così tanto al di là dell’apparenza e che dimentichiamo, annichiliti dal bombardamento dell’immagine liquida che subiamo giornalmente. Ma se ci fermassimo a riflettere un momento sull’importanza della bellezza, che è fondamentalmente un dato volatila e soggettivo nella vita di ogni essere umano, non penseremmo forse che questa non sia tutto? E che succede, se il nostro corpo non è bello? Impariamo che non è la fine del mondo, una volta e per tutte. Che la bellezza convenzionale non è lo standard a cui aspirare per la felicità…

4. Cosa pensi si debba fare per non perdere la propria umanità, e anche la propria umanità corporea? Tu cos’hai fatto?

Per me, è stato riuscire a darmi del tempo. Per capire le mie ferite e per non perdermi nell’autoflagellazione (che è la via d’uscita più semplice) – per smettere di considerarmi una vittima delle mie circostanze e prendere responsabilità per me stessa. Non è facile avere compassione per se stess* – anzi, io direi proprio che il sé è l’essere più difficile, talvolta, per cui sentire compassione. In questo senso, è utile ricordarsi che la nostra dose naturale di egocentrismo va scoraggiata: la nostra esperienza non è unica, il nostro dolore non è incomprensibile. Ci sono miliardi di altre persone, e la nostra esperienza di vita vissuta non è più valida di quella della nostra vicina. Questo mi aiuta spesso a umanizzare me stessa: sono nello stesso percorso delle persone che mi sono vicine, di quelle che incrocio sulla metro la mattina. E per questo, ho sempre da imparare da chi mi si para davanti, così come anche io ho qualcosa di significante da condividere.

5. Quanto potere decisionale pensi che abbia una donna sul proprio corpo al giorno d’oggi?

Penso che al giorno d’oggi viviamo uno shift culturale molto importante rispetto al potere che ognuna di noi ha sul proprio corpo. A prescindere dal nostro background e dalle nostre opinioni sul “ruolo” del corpo, siamo esponenzialmente più recettive al concetto di possesso del corpo e di diritto sulle decisioni che riguardano il nostro corpo. Questa è una cosa importante e molto bella–tuttavia questa nuova consapevolezza significa anche molta più complessità e sfide nuove. Per esempio, l’ipocrisia di molti uomini etero cis che a livello performativo rispettano la nostra autodeterminazione ma poi utilizzano altri sistemi più sottili ed invisibili per controllare i corpi delle donne. Non c’è una risposta precisa a questa domanda, per me è un fenomeno in continua evoluzione, di cui comunque sono felice di fare parte. Per le mie antenate, per me stessa, per mia sorella, per chi verrà dopo di me.